Intervista con Claudia Bocelli e la sua Zirrafa

Mai come adesso la nostra società ha bisogno di gentilezza, rispetto, ascolto. Il tema di un approccio accogliente ed inclusivo ricorre con sempre più frequenza nei dibattiti e negli articoli riguardanti la comunicazione e i rapporti interpersonali, al lavoro come nella vita privata. Claudia Bocelli è la fondatrice di Zirrafa, un’iniziativa che promuove la gentilezza come strumento di trasformazione. Nel 2015 conosce i principi della Comunicazione Non Violenta (CNV), un approccio che ha illuminato il suo percorso personale e professionale. Con una laurea in Sociologia e diversi master, Claudia intreccia una solida formazione accademica con un’esperienza pratica che parla di cuore e passione. Docente di Leadership Gentile presso l’Università degli Studi di Parma, insegna come le parole possono diventare strumenti di cambiamento, capaci di trasformare gli ambienti di lavoro e migliorare le relazioni interpersonali. Il suo impegno si estende oltre l’insegnamento: sta creando un’associazione professionale per riunire esperti in HR, marketing e comunicazione, con l’intento di diffondere ulteriormente i principi della gentilezza e dell’inclusione.

Claudia, com’eri da bambina?

Ho avuto la fortuna di nascere e crescere a Milano, una città che ha sempre rappresentato un punto di riferimento per la cultura e l’innovazione. Milano non è solo un centro economico; è un crocevia dove si intrecciano storie e talenti da tutto il mondo. Crescendo qui, ho assorbito il carattere distintivo di Milano, un luogo che celebra la diversità e promuove l’innovazione. Ci terrei a sottolineare che ciò che ha realmente definito Milano almeno dal Novecento in poi è il suo carattere di accoglienza. La città ha sempre aperto le sue porte a chi cerca opportunità, creando posti di lavoro e spazi per tutti. Da questa mescolanza di culture e popoli è nata la creatività che la contraddistingue e la ricchezza che ne è una conseguenza. Ci tengo a sottolinearlo perché ultimamente Milano si sta impoverendo da questo punto di vista e da sociologa e milanese osservo che sul principio di ricchezza oggi si stia innestando il classico meccanismo di esclusione che poco a che vedere con il carattere di questa città e le conseguenze negative sono sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo preservare Milano e la sua cultura e anche la sua ricchezza e oggi mi sto impegnando anche per questo.

Essere una femmina ha influito sulle tue scelte scolastiche?

Il periodo della mia formazione, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90, è stato profondamente influenzato dallo spirito innovativo di Milano. Ho frequentato scuole pubbliche, un motivo di grande orgoglio per noi milanesi, dove si imparava la convivenza civile attraverso una comunità variegata, composta da persone di tutte le estrazioni sociali e culturali. Le mie insegnanti erano all’avanguardia: creavano programmi innovativi e ci formavano sul rispetto dei diritti civili e sull’importanza dell’integrazione. Temi come l’affrancamento della condizione femminile venivano affrontati apertamente, anche attraverso letture come Volevo i pantaloni di Susanna Tamaro, che ci aprivano gli occhi su realtà lontane dalle nostre, come quella siciliana, che apparivano sconcertanti per quanto distanti dalla nostra quotidianità. Tuttavia, a metà degli anni ’90, ho iniziato a percepire un cambiamento radicale nella concezione sociale della donna non solo a Milano, ma in tutta Italia. Ricordo gli articoli di giornale che polemizzavano sul successo delle “Veline”, figure idolatrate per l’aspetto fisico e per i guadagni sproporzionati rispetto a donne laureate in discipline complesse, come l’ingegneria, che faticavano a trovare lavoro. Per una giovane donna che stava entrando nel mondo del lavoro, quale io ero, il messaggio era chiaro: l’intelligenza, gli studi e l’impegno non erano più i criteri principali con cui venivano giudicate le donne, bensì l’apparenza. E questo valeva sia per la destra, sia per la sinistra. In quegli anni, la società sembrava imporre un modello irrealistico di bellezza femminile: magrezza estrema, silenzio e sottomissione. Per evitare problemi e pressioni inutili, ho imparato ad adattarmi, mantenendo però uno spazio personale per coltivare i miei interessi, i miei libri e le mie passioni, come mi era sempre stato insegnato. È stato un equilibrio faticoso, ma mi ha permesso di navigare le sfide di un mondo in rapido cambiamento senza rinunciare a ciò che ritenevo fondamentale per la mia identità e la mia crescita.

Hai avuto difficoltà nel corso della tua carriera in quanto donna?

Quando sono entrata nel mondo del lavoro, mi sono accorta per la prima volta della disparità di trattamento e della questione di genere. Un episodio emblematico fu quando il mio responsabile, invece di vedermi semplicemente come una collega, mi disse: “Tu per me sei come una figlia”, dopo che gli avevo fatto notare che non ero sua moglie e che non poteva chiedermi di riordinargli la scrivania. Da allora mi fu chiaro che alcuni uomini avessero difficoltà a rapportarsi con una donna in modo professionale, ricorrendo a dinamiche familiari per definire il mio ruolo. Un altro episodio significativo accadde quando, di fronte alle dimissioni che avevo presentato per una disparità di trattamento, il direttore generale riconobbe il torto subito e cercò di giustificarsi dicendo: “L’ho fatto solo perché mi sono rivisto in lui”, riferendosi al collega maschio appena arrivato che aveva ricevuto una promozione, ignorando il lavoro svolto da me in sei anni e da una collega in nove. Dopo quella conversazione, ottenemmo entrambe la promozione e un aumento di stipendio. Le difficoltà sono aumentate quando sono diventata madre. Frasi come “Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala!” non erano solo metafore: erano il segnale di una società che ancora si aspetta che le donne affrontino da sole il peso di un equilibrio impossibile tra lavoro e famiglia che ancora oggi sto ricercando. Tuttavia, non rimpiango nulla, ma credo sia importante per le giovani donne sapere che bisogna essere preparate, finanziariamente autonome e indipendenti nel pensiero, e questo secondo me le giovani di oggi lo sanno, liberandosi dai condizionamenti sociali e qui c’è ancora molto lavoro da fare, o almeno questa è la mia sensazione. E vorrei aggiungere una cosa: più crescevo professionalmente, più la situazione si faceva dura. Nei ruoli apicali, spesso mi ritrovavo come unica donna in tavoli in cui la mia presenza veniva notata con commenti come: “Oggi siamo allietati dalla presenza del gentil sesso”. Episodi di questo genere, accaduti anche recentemente, segnalano quanto sia ancora necessario lavorare per cambiare queste dinamiche. Confrontandomi con altri uomini, siamo giunti alla conclusione che certi atteggiamenti subiti dalle donne al lavoro non si verificano tra uomini perché tra loro sarebbero affrontati con una reazione immediata, come “un pugno in faccia”. L’attesa nei confronti delle donne è ancora troppo spesso la sottomissione, una donna che parla ed esprime le sue idee crea imbarazzo, la si tollera una, due volte, poi se continua i metodi per farle capire che debba stare al suo posto sono dai più suadenti ai più coercitivi. Io ho scelto di uscire dalle grandi organizzazioni per questo e di farci qualcosa da fuori. Sto creando la mia impresa e aiuto le persone e le grandi organizzazioni a fare un cambio di passo, i risultati sono soddisfacenti, ho molto seguito e la cosa mi rincuora. Nonostante le difficoltà, credo che le cose stiano migliorando. La condizione delle donne oggi è più favorevole rispetto a quella vissuta dalle nostre madri e nonne. Il progresso è più lento di quanto desidereremmo, ma ogni passo avanti è frutto dell’impegno di tutte noi.

Cosa consiglieresti alle studentesse che vogliano intraprendere una carriera STEM?

Con passione, creatività e determinazione, ogni ostacolo può essere superato, come ha dimostrato Rita Levi Montalcini, e oggi le giovani donne devono affrontare il cammino verso una carriera STEM con impegno, senza lasciare spazio a esitazioni. Le giovani donne STEM hanno un esempio straordinario da seguire, un esempio che molte donne in altri campi non hanno. Invito tutte a leggere “Elogio dell’imperfezione” di Rita Levi Montalcini, un libro che considero una guida fondamentale anche per me. Racconta la sua storia, in un’epoca in cui l’accesso all’università era precluso alle donne, e lei ebbe il coraggio di chiedere al padre il permesso di studiare. Dopo aver superato le iniziali resistenze familiari, si preparò da sola per lungo tempo, con l’aiuto di lezioni private, per poter affrontare gli esami universitari. Con straordinaria determinazione, riuscì a superarli tutti al primo tentativo e a laurearsi in corso con il massimo dei voti, diventando la prima donna italiana a raggiungere questo straordinario traguardo. Il suo percorso fu tutt’altro che semplice. In quanto donna, venne emarginata e ostacolata. Una volta laureata, come primo incarico, le fu affidata una ricerca sul conteggio delle cellule neuronali sui feti, in un’epoca in cui l’aborto era vietato: questo tipo di studio era considerato marginale, quasi una provocazione, per relegarla a un ruolo di scarsa rilevanza scientifica. Ma Rita, con la sua straordinaria intelligenza e creatività, ebbe un’intuizione geniale: spostò la sua ricerca sugli embrioni dei pulcini, cioè sulle uova, una scelta che le permise di proseguire i suoi studi con risultati eccezionali fino ad arrivare al Nobel. Quando le leggi razziali la estromisero dall’università e la privarono del lavoro, Rita continuò imperterrita, portando avanti le sue ricerche in clandestinità, nascosta a Firenze durante la guerra. Nonostante le immense difficoltà, il suo talento, la sua dedizione e il suo amore per la scienza la condussero a traguardi straordinari, fino alla conquista del Premio Nobel. La storia di Rita Levi Montalcini è una testimonianza unica di forza, ingegno e perseveranza, un messaggio potente per tutte le giovani donne, specialmente per quelle che aspirano a una carriera nel campo STEM: con passione, creatività e determinazione, anche gli ostacoli più grandi possono essere superati. È noto che Rita Levi Montalcini dicesse spesso come battuta che avesse sposato la scienza, per schermarsi dall’accusa sociale di non avere un marito, cosa di cui, tra le righe si capisce avere sofferto, anche se era pienamente consapevole che una famiglia non le avrebbe mai consentito di conseguire i risultati che ha ottenuto. Ecco qui dobbiamo ancora lavorarci su insieme come società, non uomini contro donne. Tanti i giovani papà, già si sta vedendo, sono molto più di supporto alle mamme, alcuni addirittura decidono di stare a casa ad accudire i figli al posto delle mamme, una novità per il nostro Paese, ma se ci pensaste non dovrebbe stupirci. Anche i papà hanno amore per i figli e vogliono stare a casa con loro sebbene per lungo tempo questo diritto gli sia stato negato e in parte non viene ancora del tutto riconosciuto dalla normativa. Forse allora le carriere maschili e femminili saranno veramente equiparate e tanta ingiustizia sociale superata.

Ed ora quattro domande dal progetto “Anche noi reporter” sostenuto da IREN

Francesca (9 anni) “Che cosa ti piace del tuo lavoro?” Sai cosa mi piace di più del mio lavoro? Insegnare alle persone a parlare in modo gentile! Quando parliamo gentile, ci capiamo meglio e ci sentiamo felici. E sai perché è importante? Non solo per le regole della buona educazione. A volte, per esempio, gli adulti si arrabbiano e non dicono cosa provano. Pensano che se non mostrano la loro rabbia, tutto andrà bene. Ma non è così! Quando non parliamo, le cose diventano più complicate e possono nascere litigi. Questo può succedere tra genitori e figlio anche tra amici e tra colleghi di lavoro. Quando insegno e vedo qualcuno che all’inizio è confuso, ma poi sorride perché ha capito, mi fa davvero felice! Significa che quella persona ha imparato qualcosa di importante e ora fa parte della nostra squadra! Insegnare la comunicazione gentile significa aiutare le persone a parlare meglio tra di loro. La vita può essere divertente e piena di sorrisi se impariamo a comunicare con gentilezza!

Elisa (8 anni) “Hai paura di qualcosa?” Le guerre mi fanno paura, molta paura. Quando ero piccola e avevo la tua età gli adulti ci avevano promesso che non ci sarebbero state mai più guerre nel mondo e invece ora stanno tornando. È giusto impegnarci tutti insieme per contribuire a costruire una società più gentile per tutti! Non dobbiamo permettere che mettano l’odio nel cuore delle persone. E ognuno di noi ha un grande potere nelle sue mani che è la gentilezza. La gentilezza è un bene prezioso e non costa nulla, è accessibile a tutti, tutti la possono praticare, basta solo desiderarlo. La gentilezza è contrasto alla violenza e la guerra è la massima espressione della violenza. Sii gentile con te stessa ogni giorno e se tutti saranno gentili verso se stessi ogni giorno avremo un mondo di pace: cerca di non scordarlo mai.

Jasmine (10 anni) “Sei fiera del tuo lavoro?” Molto fiera! È un lavoro che mi sono inventata da sola e ora che vedo che siamo in tanti, anzi in tantissimi a credere nella gentilezza e sempre più persone si aggregano intorno a questo tema, sono fiera e orgogliosa di me! Siamo in tanti a sentire il bisogno di un cambiamento in positivo, sono tante, tantissime le persone gentili, solo che stavamo tutti chiusi nella nostra tana, forse eravamo un po’ spaventati. Ora che vado in giro per l’Italia a fare convegni scopro e anche loro scoprono che siamo in tantissimi e sono tutti felici quando ci ritroviamo per lavorare insieme.

Irma (10 anni) “Sei famosa?” Per ora non tanto, anche se la mia fama sta crescendo e questo è un tema delicato per me. Non sono una persona che ama mostrarsi in pubblico e quindi sto facendo le mie scelte. Parlare alle persone in presenza fisica mi piace, perché mi piace guardare le persone in faccia, interagire con loro, sentire cosa ne pensano, etc. mentre credo che resisterò ai social, nonostante tutti me lo stiano chiedendo in questo momento, perché i social sono finiti. Già la parola è un trabocchetto: se uno parla dentro uno schermo facendo finta di rivolgersi a te, ma in realtà dall’altra parte non sai nemmeno chi c’è ed è tutta una finzione… non mi piace. Non è vero che ci sia della “socialità” dietro quegli schermi e io sono sociologa che studia gli effetti di queste cose dagli anni ’90 e non posso ignorarli. Oltretutto essere esposti ha dei rischi anche per gli adulti, non solo per i bambini e questo fatto in molti lo ignorano. Spero di sviluppare un progetto con Save the Children su questo argomento perché diventare famosi e popolari non è un aspetto da prendere sottogamba.