Claudia Segre

Intervista con Claudia Segre, Global Thinking Foundation

Claudia Segre fonda nel 2016 Global Thinking Foundation, in Italia e in Francia, per sostenere, patrocinare e organizzare iniziative e progetti che abbiano come obiettivo l’alfabetizzazione finanziaria rivolta a donne, famiglie, soggetti indigenti e le fasce più deboli della società. Claudia è membro del Board di ASSIOM FOREX e Vice Presidente di AssoFintech, dal 2021 al 2023, già nel Consiglio Direttivo del Forum per la Finanza Sostenibile. Attualmente è anche membro del Comitato Tecnico Scientifico di Terre des Hommes Italia e del portale contro le disuguaglianze LUCE! Nonché membro esterno della Commissione Pari Opportunità dell’Accademia dei Lincei. È stata nominata da Forbes tra le Top 100 Donne Italiane di Successo del 2019 ed è tra le Top 100 Gobal Women in Leadership di GCPIT India nel 2021. È co-autrice del libro “L’Italia delle autonomie. Alla prova del COVID-19” e Co-Chair del Women7 Italia 2024, il gruppo di impegno civile ufficiale del vertice G7 sulla parità di genere.

Claudia, com’eri da bambina?

Sono sempre stata una bambina iperattiva e ribelle, all’asilo mi rifiutavo di fare il pisolino e a casa vietavo anche a mio fratello di farlo. Così ho fatto la primina a 5 anni perché mi ero “stufata” di andare all’asilo: mi tenevano impegnata a imparare a leggere e scrivere per iniziare in anticipo passando l’esame di Stato per le scuole elementari, ma venivo relegata dietro la grande lavagna con le ruote, quasi come se fossi in punizione!
La morte di mio padre e la sua assenza, una volta “metabolizzata” nel tempo, mi ha portato ad una scelta di campo nella vita: sono diventata ancora più decisa e resistente, imparando a rispondere a tutto ciò che ritenevo ingiustizia, discriminazione e sopraffazione. Avevo la certezza che, con una madre lavoratrice ed una famiglia numerosa, darsi obiettivi in là nel tempo era l’unica maniera per rispondere agli insegnamenti ricevuti. Sono andata avanti sempre a testa alta e con tanta grinta e ho tracciato il mio percorso imparando, anche dagli errori che la mia esuberanza mi portava a fare.

Essere una femmina ha influito sulle tue scelte scolastiche?

Diciamo che ho utilizzato lo “svantaggio” di essere una ragazza, e quindi sottovalutata a priori, e di avere un anno in meno per mettere la mia determinazione a disposizione di quelli più fragili. Ho fatto sempre la rappresentante di classe alle scuole superiori, prendendo la parola alla fine dei dibattiti per le elezioni interne, con una strategia di ascolto e rimando sulle istanze esposte dagli altri per essere più efficace. Mi ricordo i richiami del Preside anche per la mia strenua difesa dei diritti degli studenti ad avere giudizi pertinenti nei compiti scritti, oppure di protestare quando si rompeva il riscaldamento e dovevamo far lezione con guanti e piumino.
La scuola allora era molto più arretrata sulle questioni di genere: alle medie c’erano attività distinte per ragazzi e ragazze. Mentre ai maschi venivano proposti disegno tecnico, fisica e scienze applicate, a noi femmine toccavano laboratori per imparare lo sbalzo su rame, la creta e l’arte di cucinare il caramello! Andai dal professore per protestare e mi invitò a continuare a fare danza, che era per femmine, e di lasciare perdere le cose “da maschio”. Io, che non ho mai amato giocare con le bambole ma condividevo con mio fratello il Meccano, i soldatini, il piccolo chimico e l’allegro chirurgo… per l’appunto giochi declinati al maschile, non reagii proprio bene. Non l’accettavo e andai dalla Preside per chiederle di fare una classe unica. Ovviamente mi presi una lavata di capo e minacce di sospensione, oltre che un bel 8 in condotta che mi ha sempre accompagnata.

Com’è stata la tua educazione in questo senso?

Ho ricevuto un’educazione severa: mia madre, rimanendo vedova, faceva da madre e padre. La chiamavamo “Generale”, ma erano anche i tempi dove non esisteva ancora in Italia il concetto di educazione affettiva come ora. Esisteva l’esempio e le regole tra mondo degli adulti e mondo dei bambini. Così avevo un forte senso di ciò che dovevo o non dovevo fare, ma ovviamente la tentazione di contravvenire alle regole era forte.
Ci vollero anni per comprendere che molti dei “no” di mia madre derivavano dalla sua lotta giornaliera di sopravvivenza con tre bambini piccoli in un mondo che vedeva nelle battaglie femministe gli albori di un nuovo corso nel riconoscimento del ruolo sociale delle donne delle quali oggi possiamo assaporarne i frutti, per proseguire nella lotta per i nostri diritti partendo da una solida base di conquiste fatte.
Ed avendo avuto una madre Agente di Cambio e professoressa di Religione potrei definire la mia un’educazione da femminista “finanziaria” tra etica e rivendicazione dell’educazione finanziaria come miglior forma di protesta e di affermazione di un’autodeterminazione economica possibile. Da qui il modello sul quale ho costruito la mia Fondazione per supportare le Donne nell’essere libere e più forti e nel sentirsi finanziariamente sicure di sé stesse e consapevoli nel proprio agire. Come ho visto fare a mia madre e come ho imparato dalle Donne incontrate nei Paesi emergenti per i quali ho lavorato tanti anni.

Hai avuto difficoltà nel corso della tua carriera in quanto donna?

Certamente il cambiamento di prospettiva dal fervore adolescenziale ove i miei interessi erano rivolti alla lettura, i numeri, la geografia (che poi è diventata per estensione di studi passione per la geopolitica e la womenomics), sino alla realtà professionale mi ha subito posto di fronte ad una realtà lavorativa nella finanza di quegli anni molto diversa dalle aspettative sia a Torino, ove ho iniziato che approdando a Milano come studentessa lavoratrice e pendolare per il differente costo della vita. Ed ha rappresentato una prova impegnativa – un po’ un corso di sopravvivenza – tenendo conto che iniziai a lavorare nel 1986 e che agli inizi le donne in sala operativa non erano benvolute e le mie aspirazioni a diventare un trader considerate fuori luogo. Ho fatto quindi tutta la mia gavetta cominciando dall’ufficio regolamenti, il back office, fino ad arrivare finalmente al front office ed ad occuparmi di mercati emergenti gestendo il primo desk italiano sul trading del debito di quei Paesi.
Essere una donna laureata che parlava tre lingue, determinata e sempre propositiva non bastava a evitare le continue discriminazioni salariali e di trattamento di carriera. Diventare quindi Dirigente a 41 anni dopo 20 anni di lavoro è stato un traguardo sudato, nonostante nei precedenti 10 anni avessi sempre ricoperto posizioni di responsabilità, ma sicuramente nella media per una Donna in quel periodo pur permanendo sempre un 20% almeno di differenza nella busta paga a parità di livello. L’aspetto delle molestie è senz’altro quello che ha pesato di più anche perché allora potevamo raccontarcele tra di noi dandoci man forte tra donne nell’evitare problemi maggiori. Ma non si parlava di denunce nonostante il mobbing fosse diffuso.

Cosa consiglieresti alle studentesse che vogliano intraprendere una carriera STEM?

Consiglierei di focalizzarsi sulla molteplicità di fronti che si aprono grazie alle competenze STEM che ormai permeano la maggior parte dei settori lavorativi dalla sanità alle scienze applicate, dalla start up alla guida con conducente, dal settore impiegatizio a quello di impresa. L’ambiente lavorativo è molto migliorato perché sicuramente grazie alle norme ILO sulle molestie sul lavoro, le certificazioni di qualità, la diffusione dei principi di sostenibilità dell’Agenda 2030, molte cose stanno cambiando e in meglio.
Resta da colmare la carenza di soft skills da parte delle giovani generazioni che soprattutto, intraprendendo carriere STEM, sono fondamentali: la capacità di gestione del tempo attraverso la pianificazione, la relazione di rispetto e empatia con i colleghi e colleghe, la responsabilità e l’impegno al risultato, la capacità propositiva. Purtroppo, le nuove generazioni sono state penalizzate dal COVID ed anche dall’attuale complessità ambientale e sociale che può scoraggiare quella che dovrebbe invece essere una visione lungimirante e intraprendente sul proprio percorso di studi e di vita. E quindi sulla costruzione di un CV solido e che deve sempre rimanere aperto alle sfide e al mettersi in gioco per una carriera STEM che sicuramente offre grandi soddisfazioni e possibilità di condurre una esperienza lavorativa motivante e di crescita personale.

Quali sono gli stereotipi uomo/donna che secondo te ancora persistono ai nostri giorni?

Gli stereotipi iniziano a manifestarsi spesso anche inconsapevolmente nelle dinamiche nelle famiglie; quindi, nei messaggi che vengono trasmessi – dalla gestione della paghetta, alle scelte scolastiche, alle raccomandazioni nella gestione del tempo libero o dei cellulari, e sino agli sport da praticare – vengono assecondati retaggi che culturalmente sono generalmente accettati, ma che poi ritroviamo nel percorso scolastico e lavorativo ripetuti e riproposti sotto forma di discriminazioni vere e proprie. Esistono ancora ostacoli: dalle opportunità offerte di accesso a determinate funzioni o a certi tipi di attività progettuali ai traguardi di carriera e salariali.
Faccio un esempio: in un’azienda, “si rischia” affidando ad una figura maschile un compito che esula dal suo percorso di carriera, si punta su un individuo, ragionando fuori dagli schemi. Non capita mai alle donne; si tende ad affidare loro ruoli che hanno già ricoperto. Facendo eco a BET SHE CAN; si scommette meno su di loro. Si deve partire dal linguaggio, elemento nodale a mio avviso. In altri Paesi europei questa questione è già stata affrontata e risolta: in Francia è stata introdotta una legge per poter dare diciture al femminile a cariche politiche e della Pubblica Amministrazione, in Belgio esiste una legge forte contro il reato di femminicidio, in Spagna una sul consenso e sulla definizione di disabilità. Tutto questo permette di configurare senza stereotipi fenomeni sociali e ambiti lavorativi ed aiuta a riflettere su un cambio di passo possibile. Tutti siamo chiamati ad impegnarci per dialogare e comprendere quando la parità di genere sia cruciale ad ogni livello per una vera convivenza inclusiva.

Quanto secondo te è importante l’abbattimento degli stereotipi ancora presenti nella società?

L’abbattimento degli stereotipi, quindi, diventa fondamentale per definire una società paritaria nei diritti e nella partecipazione sociale, per dare un fattivo contributo allo sviluppo di un Paese. Faccio un esempio pratico guardando agli studi di McKinsey e Gartner degli ultimi 5 anni, le cui ricerche dimostrano che i team inclusivi ottengono risultati migliori del 30% in ambienti ad alta diversità. Questo è il risultato di diversi vantaggi chiave che nelle società ove sono state avviate politiche attive sulla parità di genere e più in generale sulla DE&I possano beneficiare di un migliore processo decisionale, di una maggiore innovazione e di una maggiore soddisfazione dei dipendenti e poi ottenere risultati operativi misurati in un + 20% rispetto ad aziende che non curano questi aspetti e non attuano misure di contenimento degli stereotipi.
Una rigenerazione culturale della nostra società è possibile e l’impegno nella diffusione di questi principi valoriali avrà sicuramente un effetto positivo anche rispetto a situazioni di violenza domestica che negli stereotipi trovano spesso spunti e/o giustificazione, soprattutto nella violenza economica e psicologica, e che vedono ragazzi e ragazze muti spettatori di dinamiche disfunzionali che incideranno sul loro futuro e sul loro agire. Per questo il nostro impegno nelle scuole con il Progetto didattico “Libere di…VIVERE” è centrato proprio su questi temi affrontati nell’ambito dell’educazione civica.

Cosa pensi di BET SHE CAN?

Trovo molte analogie con Global Thinking Foundation perché penso che BET SHE CAN sia una Fondazione che mira a contribuire a un cambio culturale, costruendo insieme ai suoi stakeholder un’alleanza che permetta di diffondere un nuovo approccio alla crescita delle bambine e delle giovani ragazze anche attraverso un cambiamento del linguaggio e l’abbattimento di paradigmi e stereotipi che ostacolano la loro partecipazione sociale e crescita culturale. Una progettualità che le aiuta a non porsi limiti e a testimoniare che la società non gira le spalle ma si mette all’ascolto di una generazione e di quelle che saranno le Donne del nostro futuro più prospero. Un approccio che le vede maggiormente consapevoli del loro ruolo centrale e dell’importanza del loro attivismo sociale, che ormai è considerato a tutti i livelli come mai prima d’ora.

Ed ora tre domande dal progetto “Anche noi reporter” sostenuto da IREN

Maya (9 anni) “Cosa ne pensi del tuo lavoro?” Sono felice e motivata da un lavoro che mi appassiona e soprattutto che mi permette di mettere a frutto le abilità coltivate nel tempo per essere utile agli altri creando un impatto positivo sulla società. Il mio lavoro è fatto di visione, azione e studio delle dinamiche sociali per essere sempre pronta ad adattare i progetti ai bisogni ed alle necessità che emergono in un tessuto sociale che si modifica e richiede dedizione, discontinuità e tanta pazienza nell’ascolto per poi arrivare ad avere grande determinazione nelle scelte.

Elisa (8 anni) “Di cosa hai paura?” Penso che mantenere un dialogo aperto tra generazioni sia importante, e per un Paese “vecchio” come il nostro sia un elemento cruciale e non banale da perseguire per un progresso inclusivo. È indubbio che c’è una responsabilità che le nuove generazioni addossano a quelle precedenti per una situazione sociale complessa minata da inquinamento ambientale, ingiustizie sociali, discriminazioni di genere e conflitti di vario genere, guerre comprese. Ho paura e combatto perché la volontà di venirsi incontro e trovare un terreno comune di impegno non venga a mancare: solo un comune sentimento di solidarietà intergenerazionale potrà permettere un riscatto sociale tangibile per tutti e per tutte.

Alice (10 anni) “Che miglioramenti hai generato con il tuo lavoro?” Sicuramente quando abbiamo avviato Global Thinking Foundation, la Fondazione di violenza economica non se ne parlava in Italia né tanto meno di un modello di autodeterminazione che rivolgesse alle fasce più deboli basato su una diffusione di educazione finanziaria e digitale mirata alla prevenzione. Ho messo insieme i tasselli della mia esperienza internazionale, dei risultati osservati nei Paesi emergenti e nei programmi diffusi globalmente per adattarli alla realtà italiana ed europea per portare ad oltre 10mila donne iscrittesi ai nostri corsi, ai 30mila studenti incontrati negli ultimi tre anni ed alla numerosa cittadinanza partecipante fisicamente e digitalmente ai Tour Libere di…VIVERE buone pratiche e azioni efficaci al loro benessere economico personale e familiare. E sono proprio le analisi di impatto sociale svolte negli anni che ci hanno permesso di misurare anche l’impatto economico, e gli ottimi risultati da punto di vista informativo e formativo che hanno dato un fattivo contributo alle misure di prevenzione.