Intervista con Marica Nobile, direttrice di Federchimica Assobiotec

Con questa intervista a Marica Nobile, direttrice di Federchimica Assobiotec, BET SHE CAN inaugura una serie di ritratti al femminile di donne che hanno seguito il loro cuore e le loro aspirazioni, senza chiedersi se questa loro scelta fosse parte della consuetudine accettata dalla società.

Hanno scommesso di farcela e ce l’hanno fatta.

Da bambina ero timida, ho imparato col tempo le mie qualità e come farmi strada nel mondo. Gender Bias? Purtroppo, sono ancora molti, anche nel nostro Paese.

Nel suo settore, fino a pochi anni fa, la presenza femminile era davvero esigua, come spesso capita nel mondo scientifico. Marica Nobile è stata da poco nominata Direttrice Federchimica Assobiotec

Laureata in Scienze Politiche, Marica ha poi conseguito un Dottorato di Ricerca in Political Theory presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma. Esperta di affari istituzionali, vanta un solido background internazionale ed una lunga esperienza nel gestire relazioni con Governi, istituzioni pubbliche e private e imprese, sia in Italia che all’estero. Dopo 10 anni in Confindustria, dove ha ricoperto il ruolo di Area Manager per l’Africa ed il Medio Oriente prima e di Senior Advisor per la Cooperazione Internazionale dell’UE poi, è stata Direttore delle Relazioni Istituzionali e Internazionali del Gruppo Trevi, azienda italiana leader nell’ingegneria del sottosuolo e nell’Oil & Gas. Prima di accettare la posizione di Direttrice Assobiotec, Associazione nazionale di Federchimica per lo sviluppo delle biotecnologie, è stata Senior Manager per le relazioni con gli Stakeholder e le Associazioni in CDP – Cassa Depositi e Prestiti e Head of Institutional Relations and Public Affairs della Fondazione Human Technopole di Milano. Nel 2022 Forbes Italia l’ha inserita tra le 100 figure femminili che hanno più contribuito alla crescita di settori chiave per il Paese.

Marica, com’eri da bambina?

Ero timidissima. Molto intelligente e brava a scuola, ma spesso bloccata da quella insicurezza che ti convince di non poter fare tutto.

Cos’è cambiato?

All’università mi sono resa conto che bisogna andarsi a prendere le cose, nessuno ti aiuta in questo percorso. Un grande maestro è stato lo sport. Ero abbastanza brava in alcune discipline. Lo sport ti insegna che se ti impegni ottieni i risultati: non ci sono scorciatoie, si tratta solo di disciplina. Anche il canto, che io amo molto, mi ha aiutato a superare la timidezza. Sul palcoscenico puoi essere chi vuoi, indossare una maschera che ti libera dalle insicurezze e ti permette di sperimentare, mentre trovi la tua dimensione. Questo mi ha aiutato molto anche sul lavoro. 

Essere una femmina ha influito nella tua formazione e sulle tue scelte scolastiche?

Sì, tanto. Ci sono due aspetti del mio essere donna che hanno influito nella mia formazione. Mio padre è italiano e mia madre è francese, e le due famiglie di origine avevano due atteggiamenti differenti rispetto al genere. Mentre la famiglia italiana era più tradizionale, quella francese era più attenta alla parità di genere. Mia madre ad esempio non ha mai fatto distinzione nell’educazione tra me e mio fratello. Sono cresciuta percependo l’esistenza di modelli alternativi di definizione del genere e dei ruoli che gli vengono spesso attribuiti. L’altro aspetto invece riguarda l’immagine di mia madre: aveva seguito mio padre all’estero, a Roma, lasciando il suo lavoro, ma quando io e mio fratello siamo cresciuti  ha ripreso a lavorare. Il suo mestiere, per cui aveva studiato e che amava, era una parte importante della sua realizzazione personale. Tutto questo ha influito sulla mia consapevolezza e sulle mie scelte future. La mia tesi di laurea era incentrata su femminismo e multiculturalismo, mentre durante il dottorato mi sono concentrata su Islam e diritti umani con un’attenzione alla condizione della donna. Credo che l’ambiente multiculturale in cui sono cresciuta abbia pesato significativamente su questa mia sensibilità.

Hai avuto difficoltà nel corso della tua carriera in quanto donna?

Purtroppo, capita fin troppo spesso. Non conosco alcuna donna che non abbia avuto difficoltà in questo senso. Fin da piccola volevo insegnare all’università e quando ho cominciato il percorso accademico mi sono sentita dire cose come: “Sei troppo carina per essere presa sul serio in questo ambiente”. All’inizio della carriera – complice la giovane età – era prassi essere scambiata per l’assistente o la hostess dei colleghi uomini, mentre andando avanti alcune scelte personali o familiari mi sono costate scatti importanti di carriera. 

Cosa consiglieresti alle studentesse che vogliano intraprendere una carriera STEM?

Quello che dico sempre anche a mio figlio: non permettere a nessuno di dirti cosa desiderare e dove arrivare.

Quali sono gli stereotipi uomo/donna che secondo te ancora persistono ai nostri giorni?

Quelli che fanno più male sono: se sei una donna e hai avuto successo, qualcuno vocifera sempre che tu lo abbia ottenuto in altro modo. Cosa che per un uomo non succede mai. L’uomo viene “testato sul campo”, se poi è un incompetente, forse ha avuto degli aiuti, ma almeno c’è il beneficio del dubbio. Un altro luogo comune da sfatare – lo faccio sempre con le mie collaboratrici – è quello secondo cui le donne non sappiano fare squadra fra loro. Ho sempre avuto team con tantissime donne e non li cambierei mai. 

Quanto secondo te è importante l’abbattimento degli stereotipi ancora presenti nella società?

Tantissimo. La strada è ancora lunga, purtroppo.

Cosa pensi di BET SHE CAN?

Penso che ce ne sia un gran bisogno. Mio figlio ha sei anni e questo mi permette di sperimentare direttamente come si formino alcuni stereotipi nei più piccoli. E quello che divide maschio e femmina inizia molto presto. Faccio un esempio: a casa, complice mio marito, non c’è stereotipo di genere. Tutti fanno tutto, ognuno esprime la propria identità come meglio preferisce: mio figlio è cresciuto in questo contesto. Tornando un giorno dall’asilo però mi ha chiesto: “La maestra oggi quando ho chiuso un libro mi ha detto che era ovvio non mi piacesse visto che era un libro “da femmina”. Ma mamma esistono i libri da femmina?”.  

Ed ora tre domande dal progetto “Anche noi reporter” sostenuto da IREN

Maya (9 anni) cosa ne pensi del tuo lavoro? Mi piace tantissimo. Perché cerco di far capire cose importanti a chi fa politica e prende decisioni per il nostro Paese. 

Elisa (8 anni) di cosa hai paura? Ho paura dei gechi: quelle lucertoline notturne che ogni tanto vedi sui muri in estate. Non so perché, ed è anche completamente insensato visto che sono innocui e utilissimi contro le zanzare, ma spesso le paure più difficili da superare sono proprio quelle insensate. Accetto questo mio limite senza giudicarmi troppo! 

Alice (10 anni) che miglioramenti hai generato con il tuo lavoro? Ho avuto la fortuna di generarne tanti. Fra questi scelgo quello relativo ad un progetto importante in Iraq per riparare una diga che, se fosse crollata, avrebbe spazzato via le case di sette milioni di persone.